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Per una Medicina biointegrata

Ogni forma medica, nata in epoche e contesti filosofici, sociali e scientifici diversi, porta con sé dei limiti e dei vantaggi. Integrare significa superare possibilmente i limiti e sinergizzare i vantaggi di ciascuna di esse. Il problema non è rappresentato dal perché integrare, ma dal come integrare.

La Medicina Integrata viene definita per la prima volta da Rees e Whyte nel 2001 come l’esercizio della medicina attuato in modo tale da incorporare elementi della Medicina Complementare e Alternativa, CAM nella letteratura angloamericana, in piani diagnostici e terapeutici ortodossi, identificando di conseguenza il trattamento più idoneo all’interno di una gamma di terapie basate sull’evidenza. Questa definizione porta con sé malintesi ed equivoci che ancora oggi, a distanza di venti anni, ostacolano e contraddicono quella che negli auspici voleva essere una vera integrazione. In essa si contraddistingue una Medicina Ufficiale che cerca di far suoi alcuni elementi di altre forme mediche, ritenute secondarie e meno valide, dandogli una patente di ortodossia, utilizzandole strumentalmente in programmi terapeutici basati sull’evidenza.

MEDICINA E FILOSOFIA

Da sempre Medicina e Filosofia rappresentano un binomio inscindibile: la prima trova svolgimento e attuazione epistemologica a seconda dei principi filosofici che la permeano. Chi è l’uomo, chi è il paziente, cos’è la malattia, la salute, l’ambiente, rappresentano concetti basilari da cui nasce un’impostazione medica piuttosto che un’altra. L’uomo come insieme di parti (meccanicismo), la parte che porta con sé le informazioni dell’intero (olismo), ad esempio, evidenzia- no una notevole differenza, rendendo difficile l’integrazione. Lo scientismo, il determinismo, il riduzionismo, derivanti dal Positivismo, filosofia di fine ‘800, rappresentano le forme di pensiero che improntano la Scienza moderna. Queste impostazioni, spesso estremizzate per interessi scientifici e talora anche economici, sono alla base dell’Evidence Based Medicine (EBM), medicina basata sull’evidenza, paradigma che regola attualmente la pratica medica. Essa riconosce la necessità di fondare una decisione clinica in rapporto a ricerche valide, evidenze, tratte dalla letteratura scientifica. Trisha Greenhalgh e Anna Donald definiscono l’EBM come l’uso di stime matematiche del rischio di benefici e danni, derivati da ricerche di alta qualità su campioni di popolazione, per informare il processo decisionale clinico nelle fasi di indagine diagnostica e nella gestione di singoli pazienti. Tale impostazione, nell’ambito della medicina accademica, ha assunto un valore ideologico talora estremo, creando spesso conflittualità con chi ritiene che l’expertise del medico e l’individualità del paziente non possono essere ridotti al rango di valori complementari o secondari.

Il contrasto più forte diviene evidente, e di stridente attualità, soprattutto nei confronti delle Medicine cosiddette non convenzionali, che, invece, dal punto di vista filosofico e metodologico, sono basate sulla specificità del paziente con la sua patologia e non sulla malattia di cui è portatore. È, dunque, l’Evidenza, in quanto Statistica, al servizio della Clinica o la Clinica al servizio dell’Evidenza? A proposito di statistica, Mark Twain asseriva: «Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le dannate bugie e la statistica». Molti autori del Team dell’EBM, infatti, ritenendo estremizzato il concetto di evidenza così inteso, riconoscono oggi che la stessa rappresenta solo una componente, seppure importante, di una decisione clinica. «Evi- dence does not make decisions, people do» (Haynes RB et al., 2002).

Possiamo dire che le cosiddette medicine non convenzionali, basate sull’individualità e la centralità del paziente, sono portate alla personalizzazione della diagnosi e della terapia, l’EBM comporta, invece, una sua spersonalizzazione. La personalizzazione in medicina è però inversamente proporzionata all’organizzazione in macrocategorie, alla rappresentazione e classificazione dei risultati, alla loro verifica e ripetibilità e quindi validazione scientifica. La ricerca dell’evidenza e la spersonalizzazione comportano una difficoltà all’integrazione, la centralità del paziente e la personalizzazione la facilitano. Due mondi completamente diversi? Impossibile il confronto? Siamo tornati al dilemma? Occorre precisare che le medicine non convenzionali sono prive di un corpo scientifico unico, le figure professionali che le praticano sono disparate e poco omogenee tra loro, non vi sono regole che le normano, vi è assenza di scuole riconosciute e accreditate che ne assicurino uniformità d’insegnamento, sono spesso soggette a improvvisazioni, estremismi e interessi vari. L’immagine che ne viene data, soprattutto negli ultimi tempi, in buona e cattiva fede, è quella di essere poco credibili e di rasentare la ciarlataneria. Tutto ciò rende ancora più complicata l’integrazione. D’altro canto, tali forme mediche, dette inizialmente alternative, poi complementari, quindi non convenzionali, naturali, oggi si autodefiniscono integrate, pur in assenza di una vera integrazione. Il problema allora torna a monte e bisogna chiedersi: “Cosa significa integrare”?

COSA SIGNIFICA INTEGRARE

Integrare significa associare più mezzi terapeutici? Quattro aghi di agopuntura, tre granuli omeopatici, un fitoterapico, qualche antibiotico o antinfiammatorio: è questa l’integrazione? Certo che no! Ammesso che dal punto di vista terapeutico il minestrone si possa fare, come la mettiamo con la diagnosi? Sono mondi diversi che s’in- contrano, parlano lingue differenti e se devono fondersi in una vera integrazione, per prima cosa occorre un linguaggio unico; a monte di tutto, dunque, questo è il vero problema. La medicina accademica, per avere un corpo scientifico unico tra le sue varie espressioni e specializzazioni, ha il pregio di applicare lo stesso linguaggio. Un cardiologo e un ortopedico, uno psichiatra e un oculista, avendo sei anni di studi in comune, nel parlare si capiscono; anche se si entra nello specialistico, ciascuno ha la potenzialità di capire l’altro. Invero, un omeopata e un agopuntore, un fitoterapeuta e un omotossicologo, in assenza di un corpo scientifico unico avranno difficoltà ad applicare lo stesso linguaggio e a capirsi. Posto che la Medicina è Una, essa viene svolta in varie forme, distinte per aree di competenza, culture o aree geografiche d’origine, principi filosofici e metodi scientifici diversi, per una vera integrazione occorre un linguaggio unico che integri tra loro le varie forme della medicina naturale e quindi queste con la medicina accademica. Questo linguaggio è rappresentato dal Costituzionalismo. In ogni forma di medicina vi è traccia di tale linguaggio. Nelle medicine naturali, a partire da quella ayurvedica alla medicina tradizionale cinese, all’omeopatia, omotossicologia, fitoterapia ecc., vi è sempre traccia di un linguaggio costituzionalistico. In medicina accademica, sino agli anni Sessanta nelle aule universitarie veniva utilizzato un simile linguaggio e sono famose, nella storia della medicina, le scuole costituzionalistiche italiane, di cui il Pende e il Castellino sono solo alcune delle figure più importanti. L’avvento della microbiologia prima e dell’immunologia dopo ha allontanato l’espressione costituzionalista sino all’arrivo della genetica e dell’epigenetica che, in ter- mini molto moderni, riportano l’attenzione sulla costituzione umana e al linguaggio che la definisce.

L’IDENTITÀ BIOLOGICA

Da qui nasce la Medicina Biointegrata, inte- sa come esercizio della Medicina attuato in modo tale da integrare tra loro le varie for- me di Medicina Naturale ed esse con la Medicina Accademica, secondo un linguaggio comune, il Costituzionalismo appunto. L’integrazione permette l’elaborazione e l’applicazione di una metodologia diagnostica e di percorsi terapeutici estremamente moderni e personalizzati, basati su una sinergia di azione innovativa e unificante. Il suffisso bio, aldilà di ogni tendenza alla moda, viene utilizzato proprio per rimarcare la centralità dell’identità biologica dell’essere umano quale faro di qualsiasi contesto epistemologico. In Medicina Biointegrata per Costituzione di un individuo si intende l’insieme delle sue caratteristiche morfologich strutturali, biochimiche-funzionali e psicologiche-mentali, in continua interazione con gli stimoli ambientali, a perenne evoluzione dinamica, contrassegnate da variazioni dello stato energetico definibili quali cambiamenti diretti a mantenere il miglior equilibrio possibile in termini di omeostasi ed allostasi. L’individuazione di uno stato costi- tuzionale, di conseguenza, consiste nel definire in un dato momento dette caratteristiche, tanto da poter individuare e prevedere la capacità e le modalità d’interazione con gli stimoli ambientali, permettendone una valida armonizzazione e la miglior resa possibile in termini omeostatici e allostatici, assicurando così una resilienza adeguata.

L’istituzione di alcuni corsi universitari di medicina naturale, il suo ingresso in re- parti ospedalieri e l’apertura di ambulatori pubblici dedicati, l’iscrizione dei medici in registri appositi istituiti dagli Ordini, le prese di posizione favorevoli di Istituzioni nazionali, europee e mondiali, l’OMS, che invita a concentrarsi sulla salute della persona piuttosto che sulla malattia, la presenza di cento milioni di pazienti in Europa, di cui dieci milioni in Italia, di pazienti che ne fruiscono, il 30% dei medici che le praticano e migliaia che le studiano o si avvicinano ad esse, lasciavano intendere che si stesse procedendo lungo la strada dell’integrazione scientifico-culturale delle medicine non convenzionali.

A malincuore, nonostante ciò, si registra, negli ultimi tempi, un’accensione di estremismi ideologici, talora violenti e spregiudicati, contro quella che può essere considerata una naturale evoluzione della medicina. Aldilà di ogni dietrologia, la presenza di interessi scientifici ed economici, l’arroccamento su posizioni privilegiate di potere di cui si teme la messa in discussione, portano verso la rinascita di uno scientismo tanto esasperato per quanto anacronistico, al rifiuto di qualsiasi dialogo, alla condanna e all’ostracismo delle medicine naturali. In tale contesto, la Medicina Biointegrata, con le sue peculiari finalità, vuole rappresentare il punto d’incontro, la mediazione e la sintesi di ciò che può divenire il paradigma di una Nuova Medicina.

Il Corso di Perfezionamento in Medicina Biointegrata istituito nel 2003 presso l’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chie- ti ancora oggi rappresenta la dimostrazione pratica di come ciò sia possibile; i tanti allievi che continuano a iscriversi ad esso, la consistente partecipazione ai relativi Congressi Internazionali e ai tanti Corsi spe- cifici che vengono tenuti sul territorio nazionale, rappresentano una testimonianza diretta dell’interesse per questa visione quale base per una medicina moderna e finalmente integrata.

Franco Mastrodonato

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